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COGNOMI DELL'ALTA LEVENTINA                                           SOPRANNOMI  

DIALETTI SVIZZEROITALIANI                                     DIALETTI DEL MONDO 

 

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ABCC' DEF GIJLMNOPQ R STUVZ

 

Abièdi - Abiatico, nipote (di nonno o nonna) - (abiedi)

Abiéz - Abete bianco, Abies alba (it.wikipedia - foto Google). - (abiez, abiezz)

Abrét (agg.) - Congelato, rigido, intirizzito dal freddo: "u m'é niç i mèi bélé abrét" = "mi sono venute le mani bell'e congelate".  - (abret, abrett, abred)

Airöu -  Airolo (it.wikipedia) (Dizionario storico della Svizzera) (sito web) . Nel dialetto locale si dice Airö. Basta sentire come uno nomina in dialetto la località per capire se viene da sopra o sotto la gola di Stalvedro. Secondo il DTS il nome risale probabilmente al sostantivo latino popolare orium = orlo, margine (dialetto: ör) con aggiunta del suffisso diminutivo volgare - olu e che diventa ö nella maggior parte dei dialetti ticinesi. Per altri toponimi leventinesi il diminutivo di ör è però orél, urél, con il significato di poggio, promontorio, da cui anche il cognome bedrettese e quintese Orelli. Nel '200  Airolo era chiamato Oriollo, Oriolo, Uriolo, poi Airolo, Oirolo, Yrollo e simili. Lurati ("In Lombardia..." cit. p. 29) fa dapprima derivare "Airöö" da area + suffisso -eolus e poi (p. 137) dal diminutivo del dialettale ri al plurale: "piccoli rii, lat. rivus, piccoli ruscelli". Etimologia che mi pare plausibile ma, sempre in dialetto, al plurale dovrebbe essere (i) riéi o (i)  riöi, non (i) riö, da cui eventualmente trarre Airolo. Sonoramente più vicino sarebbe un singolare u riö (a Quinto sarebbe u riöu) da cui -> Uriö (Uriolo) -> Airö (Airolo). Mah, congetture, giusto per il piacere. Mi stupisce che la spiegazione numero 2 di Lurati (ri + -öi = rivoli) non sia stata applicata a Rivöi = Olivone, località che pur presenta qualche similitudine geografica con Airolo. Come curiosità storica segnalo la descrizione di Airolo e dintorni di Johan Gottfried Ebel nel suo manuale del viaggiatore in Svizzera pubblicato a fine Settecento - inizio Ottocento in tedesco, francese e inglese: varie edizioni in Google Libri.

                                                                             Airö(u) - foto Tabasio

 

Almè, almènc' - Almeno - (almenc')

Altènc'a - Altanca, frazione di Quinto a ca 1400 metri di quota sul versante sinistro della Leventina, sopra Piotta. Villaggio citato da mia mamma per l'alto numero di disgrazie toccate ai suoi abitanti, evocate anche nella nota poesia "Ava Giuana" di Alina Borioli ("Vos" cit. pp 10-12, v. anche nota a p. 51). Segnalo per più info su Altanca il sito dell'omonima osteria, rinomata per salumi e formaggi: Altanca.ch. La chiesetta del villaggio è nota ai cultori dell'esoterismo per l'alto grado di "energia" che si avvertirebbe al suo interno. Personaggio storico illustre ma pressoché ignoto in patria: Giacomo Mottino, eroe sfortunato della battaglia di Novara del 6.6.1513: "Con gli assediati, poco più di quattromila uomini, era quel Giacomo Mottino, capitano di Uri ma d'origine leventinese, del quale la tradizione accolta da alcuni storici del tempo e letterariamente ampliata dal Guicciardini fece l'eroe della giornata. Racconta lo storico fiorentino che il Mottino, dopo aver esortato i suoi uomini con feroce e ardentissimo spirito (...), senza attendere nemmeno il primo chiarore dell'alba guidò la sortita degli Svizzeri e la sorpresa contro il campo francese. (...)  Il 6 giugno 1513, a Novara, il Re (di Francia ndr) perdette circa settemila uomini, fra cui la quasi totalità dei lanzi, ma anche gli Svizzeri lamentarono le più gravi perdite di tutte le battaglie combattute fino allora - oltre duemila soldati -, tra esse quella del Mottino, trafitto "mentre combatteva, nella gola da una picca"." (Brani tolti da Georg Thurer, Guido Calgari, Marignano, fatale svolta della politica svizzera. Alcuni fatti e alcune riflessioni per i giovani Confederati, nel 450° della battaglia 1515-1965, Tre anni di potenza, trovati sul sito Aczivido.net e ripreso anche in Marzorati.it). Sul Mottino v. anche G. Rossi e E. Pometta, Storia del cantone Ticino, II ed. 1980, pp. 119, 123, 125, 127. O leggi direttamente quel che scrisse Francesco Guicciardini (-> Wikipedia) nella sua Istoria d'Italia

Alvè - Alzarsi dal letto (dopo aver dormito). Mi alzo = i élvi.

Ambrì - Ambrì, Sopra e Sotto, frazioni di Quinto sul fondovalle, note per i mesi invernali senza sole che hanno permesso la nascita del piccolo, grande HCAP. Dal Lat. Umbrivum, zona in ombra (A. Jelmini, "Quinto" op. cit. p. 43), o più banalmente dal dialetto umbrì = ombre, plur. di umbrìa (dal lat. umbra) per designare una zona in ombra. Un documento del 1227 parla di Umbrio inferiori e superiori (MDT, RL, n. 9, p. 33). Un altro del 1450 citato da Lurati ("In Lombardia.." cit. p. 140) indica Ombrio Suptus e Ombrio Supra. Lo stesso Lurati (ibid. p. 58) sembra spiegare il cambiamento della prima lettera da U o O in A (non lo fa esplicitamente perché si limita ad un accenno) adducendo il latino "ad umbrivum", il che mi sembra anacronistico essendo il latino ormai soppiantato dall'italiano al momento del cambiamento, che dev'essere piuttosto tardivo: nello Stato d'anime (censimento) del 1639 si trova ancora Ombri Sopra e Ombri Sotto, mentre sulla carta della Leventina disegnata nel 1681 dal sacerdote Giovanni Rigolo di Anzonico è già scritto Ambri; nella cartina urana di Gabriel Walser del 1768 si trova tuttavia ancora Ober e Unter Umbri, e anche Johan Gottfried Ebel, nel suo manuale del viaggiatore in Svizzera pubblicato a fine Settecento - inizio Ottocento scrive ancora Umbri Sopra e Sotto -> varie edizioni in  Google Libri. A mio avviso più probabile è una caduta della U atona nel dire, in dialetto "nè, stè a Umbrì" che finisce per suonare "nè, stè Ambrì". Una cosa di simile dev'essere accaduto con Uriolo o Oriolo -> Airolo, ma molto prima.


                                                                     Carta urana ca 1768 - foto Tabasio

Amprötan - v. Lamprötan -

Ampùn, plur. ampùi - Lampone, Rubus idaeus (it.wikipedia - foto Google). - (ampun, ampui, ampon)

                                                                            Ampui - foto Tabasio
 

Anda Zia (non più usato, se non da persone anziane per indicare vecchie zie). Non vuole l'articolo determinativo. A casa ho sentito nominare una certa "anda Pina", ma già mia nonna mi pare usasse più spesso dire "zia" quando nominava le mitiche zia Chiara e zia Délina. Verrebbe dal latino amita = zia paterna. V. anche baba = zio.

Andèna - Andana, striscia di erba appena falciata. Ma non sembra essere termine indigeno: il VSI non lo dà per la Leventina, il LSI solo a Calpiogna. Forse lo ha introdotto qualche falciatore bergamasco. Il termine autoctono è caunó (v.), almeno per quando si falcia a mano. Andèn si dice piuttosto per le strisce d'erba più basse lasciate dalla falciatrice, mi dice una cugina di Deggio. questo significa anche che è termine piuttosto recente. - (andena, anden) 

Angróan (- nn) - Cinorròdo, bacca della Rosa canina (it.wikipedia - foto Google), anche detta stopac'üu, stopac'ü, ma penso sia parola importata: tic. stopacü. In Val Bedretto angrùan e anche a Osco, dove la pianta di rosa selvatica è detta bösru d'angrùan secondo l'AIS.  (angroan, angruan, stopac'üu, stopac'ü)



                                                                                       Angroan - foto Tabasio

 

Àntic, ànti  - Corsia della stalla. - (anti, antic)

                                                                                   Antic - foto Tabasio


Anzél (z = ds) - Capretto o piccolo camoscio che ha compiuto un anno. Femminile anzéla (Quinto, Osco, Calpiogna) o anzèla (Dalpe, Airolo): giovane femmina di un anno che non ha ancora partorito. "Per il camoscio è l'animale nato nella primavera dell'anno precedente, ossia da un anno (in primavera) ad un anno e mezzo in settembre, al periodo di caccia. Quando si prende un anzél  a caccia alta, si tratta di un camoscio di un anno e mezzo. Anzèla è pure la giovane cerva di un anno e mezzo. Per le capre è più o meno la stessa cosa, almeno per il sesso femminile; per il maschio, quelli non destinati all'allevamento per riproduzione sono già finiti in padella come c'aurét e i pochi rimasti sono già bosc o bosciòt. Anche loro di regola nascono in primavera. Nascite in estate o al limite in settembre sono rare eccezioni." Così mi precisa Marco Viglezio, veterinario e dalpese d'adozione. Il VSI precisa che in alcuni luoghi della Leventina si parla già di anzél negli ultimi mesi del primo anno, come nei primi mesi del secondo, al femminile nel secondo anno fino al principio del terzo se la maturità sessuale si manifesta solo in questo tempo. Il capretto nei primi mesi, fino a un anno, era chiamato iöu (Airolo: ), fem. iòra (v.), oggi perlopiù sostituito da c'aurét. Beffa dà per Airolo alcune colorite accezioni di senso figurato: l'à scè l'anzel = ha un figlio illegittimo; u l'à töcia isséma a l'anzél = l'ha sposata che aveva già un figlio. - (anzel, anzell, anzela)

Anzida (z = ds) - Si dice a Dalpe "di bovina o altre femmine di animali non rimaste gravide e andate vuote per quella stagione"; il maschile anzìt è usato in senso figurato in caso di insuccesso, per esempio tra i cacciatori: i sém nèç fò anzit = non ho preso nulla, sono tornato a mani vuote. Fonte: Marco Viglezio, veterinario e dalpese di adozione. Il LSI, alla voce negida = sterile, non fecondata, che non figlia per un anno e talvolta due (di vacca o raramente di capra), anzida solo a Dalpe, mentre per Quinto dà inzida, parola confermatami a Deggio. Per Airolo, Beffa dà ingìt = vuoto, f. ingida, detto di mucca non gravida (< lat. anniculita, secondo Sganzini cit., parola che non trovo sui dizionari, ma anniculus, annicula = di un anno, che ha un anno). Anche Beffa dà l'espressione figurata  nì indré ingit = ritornare senza aver concluso quanto ci si era ripromesso, vuoto. - (anzida, anzit, anzid, ingit)

Anzìt - V. Anzida.

Anzóni (z = ts) - Anzonico, villaggio di montagna della Bassa Leventina (it.wikipedia ) (Dizionario storico della Svizzera). Secondo Lurati ("In Lombardia ..." cit. p. 16) il termine, con il solito suffisso -onico indicante una proprietà significherebbe "terreno la cui amministrazione e resa era gestita dagli 'anziani' (anziàn, plur. anzièi = amministratori della chiesa)". Végia d'Anzóni: v. a questa voce. - (anzoni)

Aónda, a onda - 1) Molto, granché, in frasi di senso negativo: aonda peisc la pò mia nè = granché peggio non può andare; aonda pionda us pò mia fè = granché di più non si può fare.  2) Nel complesso, tutto sommato, alla fin fine, dà il LSI per Bedretto, ma mi sembra si dica anche altrove, anche se è più comune a régola (v.): a onda, us pò bé gnè laméntàs = tutto sommato non ci si può lamentare. Airolo: aùnda, unda. Sembra venire dal latino abunde = molto, assai. V. anche Onda.- (aonda, aunda)

Aquila - Aquila reale, Aquila chrysaetos (it.wikipediafoto Google ). Non esiste, che io sappia, un nome dialettale in Alta Leventina, il che fa pensare che il grande rapace si sia estinto o quasi per un certo periodo nella regione, dove oggi si vede invece spesso > Aquile. Il LSI dà per la Bassa Leventina légua (Giornico, Personico), lègua (Bodio), ègue e lègue (Sobrio), come pure agra, aigra, ègra, èigra per le valli Blenio e Riviera.

Arbànt - Cipiglio, arroganza, dice la mamma. Baldanza, temerarietà, alterigia, dice il LSI, che lo dà solo ad Airolo (sul VSI non lo trovo). Baldanza, ardire, sussiego, portamento altero, usato nell'espressione véi arbant, dice l'airolese Beffa cit. - (arbant)

Arborél, arburél - Pioppo tremulo (o tremolo), Populus tremula (it.wikipedia - foto Google). Alto fino a 20 metri. L'incessante tremolio delle foglie dona alla chioma riflessi argentei. La leggenda narra che si usò il  legno di quest'albero  per la croce di Gesù, leggo su  Astrogeo.va.it - (arburel, arborel)


Arborél - foto Tabasio


Arc'öita, arcöita - Erba con le foglie appuntite e i margini affilati e taglienti. Secondo il VSI, il termine indica una pianta erbosa del genere luzula (Juncaceae, it.wikipedia - foto Google) o calamagrostis (foto Google), di cui ci sono diverse specie. Cresce a ciuffi, alti anche mezzo metro, in luoghi ombrosi, soprattutto boschi di conifere, in genere a bacio. Poco apprezzata dal bestiame, in particolare dalle mucche che la rifiutano. Beffa cit. precisa che è sottile alla base, contrariamente alla rossinèla, erba che è larga e piatta fino al piede e cresce di preferenza a solatio. Quest'ultima è difficile da falciare, dicevano i falciatori bergamaschi: "la sbassa el cò, me volti indré la ghè ancamò" (Beffa cit.). Arcöita si dice a Dalpe, oltre che nella Media Leventina, trovo in Vicari cit. p. 289 n. 23, ma il VSI dà arc'öita anche per questo comune, se non capisco male io. Nessuno in casa mia ha mai sentito la parola. Claudio Strozzi per Biasca, alle voci ric'èita, räc'èita parla di cannella delle abetine, Calamagrostis villosa (foto Google), e cannella dei boschi, Calamagrostis arundinacea (foto Google), afferma che cresce nei pascoli al limitare del bosco o fra le prime piante di esso, è poco gradita al bestiame e serviva un tempo per riempire sacconi usati come materasso. Pensavo che fosse arcöita l'erba alta che cresce nella zona della Bedrina a Dalpe, ma Pro Natura, riferendo dei lavori di gestione della torbiera parla di "sfalcio della molinia", altra specie di erba delle aree paludose -> https://www.pronatura-ti.ch/riserve/Bedrina-gestione.php.

                                                                                                   Arc'öita (?)
 

Arègn - Ragno. Plur. invariato (-> Araneae in it.wikipedia). Arègnéra = ragnatela. - (aregn, aregnera)

A régola, a régula - 1) Nel complesso, tutto sommato, in fondo, alla fin fine: a régola i pòs bé gnè laméntàm= tutto sommato non posso lamentarmi.  2)  Abbastanza, più o meno; non c'è male (sottintendendo il significato 1). Espressione non solo leventinese, penso ticinese in generale, intraducibile pari pari, che a chi la usa sembra italiana ma non lo è. Mi ricordo la perplessità di una amica cresciuta in Italia quando alla domanda "Come va?" si sentì da me rispondere "Eh, a regola". Intendendo io dire "non c'è male,  non mi posso lamentare troppo". V. anche aónda - (a regola, a regula)

Arénta (avv.) - Vicino (forse dal lat. haerente = che è attaccato, aderente). - (arenta)

Arlìa  - Pregiudizio, frottola, capriccio, dice il VSI. Mia mamma lo usa al plurale, arlì, nel senso di superstizioni, idee superstiziose: "la ià in tésta dumà arlì". In questo senso è citato anche nel VSI per  Olivone, mentre Beffa cit. dice di non averlo mai sentito in tale accezione e dà per Airolo "idea balzana e stramba, fissazione". Il VSI dà ancora per Faido "om pien d'arlì" = uomo pieno di pregiudizi. Il VSI cita anche per Lodrino "I arlì di vicc i è boi da dorè a fè cavicc", simile al detto leventinese "i pruverbi di viç ién boi da fè caviç". Difatti in dialetto di Lodrino arlì = "detti dei nostri nonni" (Bernardi cit.) Il VSI dà anche arliós per fantasioso. Magginetti-Lurati traducono per Biasca "superstizione, fissazione, grillo". - (arlia, arli)

Armàndola - Mandorla. Plur. armàndol. - (armandola, armandula, armandoi, armandui)

Armèri - Armadio. Armèri 't cüsìna = credenza. - (armeri)

Arnàuro, arnàuru - Oggetto ingombrante o/e di poco conto. Sinonimi (non solo in lev.): barlafüs, strafüsari, rotisc, rostic (v.), turléri. Usati anche come insulto. Verrebbe dal nome proprio Arnaldo, usato con valore spregiativo (VSI). - (arnauro, arnauru)

Arògi - Orologio - (arogi)

Arpa - Frangicagliata: attrezzo con fili metallici paralleli per sminuzzare la cagliata (quagèda, v.). Detto anche lira (Jelmini cit.). Avrebbe almeno in parte sostituito l'autoctono scar (v.) negli anni '20, secondo Lurati ("Terminologia" pp. 137-38).

Art - Lardo.

Artasìn - Rododendro, rosa delle Alpi, Rhododendron (it.wikipedia), nelle due specie Rhododendron hirsutum (foto Google) e ferrugineum (foto Google). Pl. artasìt, più noti come ròs di èlp. Secondo Beffa op. cit. il rododendro si dice a Piotta fió di dròs e a Villa Bedretto dròs (v. dròsa, che altrove è l'ontano nano). Secondo il VSI è frequente che il nome dròsa venga a designare anche il rododendro poiché sono entrambi cespugli che invadono i pascoli. - (artasin, artasit, ros di elp, fio di dros)

                                                      Artasìt o ròs di èlp - foto Tabasio.  V. anche in in Panoramio

 

Artè - Essere necessario, conveniente, opportuno, utile, sempre in frasi negative e con costruzione personale (i arti, ti artat, u arta ... mia), più o meno sinonimo di tarzè (v.). Voce morta in italiano è il verbo artare = costringere, forzare, senso che sembra corrispondere a quello di artè.

Artòdan - "Disutilone, dappoco", traduce per Quinto il VSI, che dà come senso primo quello di persona di qualità fisiche e intellettuali inferiori al normale. Il LSI dà per Airolo arnese in cattivo stato, cianfrusaglia. Come termine spregiativo-scherzoso per persona o cosa a me richiama arnàuro (v.) e simili. Parola di origine oscura, secondo il VSI. L'autore dell'articolo (Sganzini) congettura una combinazione tra il greco artos = pane e tyros = formaggio. Le mie ricerchine mi portano addirittura al celtico. Ma per arrivarci è necessario un excursus un po' lunghetto, ricollegandomi al termine "Artodan" che compare in vecchi documenti leventinesi, come indica Mario Fransioli ("Il Vicinato" cit., p. 119, nota 175). Padre Angelico Cattaneo, nella sua opera "I Leponti" (1874, rist. 1990, vol. 2, p. 117), parla della "stretta di Artodeno, od Urnerloch". Fransioli (ibid.) sostiene però che non può essere l'Urnerloch ("Buco d'Uri", nelle gole della Schöllenen) perché il tunnel in questione è stato aperto nel 1708 mentre di Artodan già si parla negli Ordini di Fontana del 1706. Secondo lo storico il nome Artodan indicava un tempo la Val d'Orsera, nell'alto canton Uri. Fransioli cita padre Iso Müller, "Geschichte von Ursern", Disentis, 1984, p. 2., il quale scrive: "Noch 1558 ist der alte Talname Artodono (Artoduno) im sinne von Bärenburg erhalten". Come Ursern deriva dal latino ursus, questo "vecchio nome della valle" deriverebbe da arto = orso in celtico (ma anche pietra, trovo su Internet). Müller rimanda al "Discorso de i Sguizzeri" di Ascanio Marso, inviato imperiale nella vecchia Confederazione (DSS ): un interessante "reportage" sull'antica Svizzera, scritto appunto nel 1558 e pubblicato a Basilea nel 1956 da Leonhard Haas. Marso riferisce di quanto sia "difficile et pericoloso il passar il San Gottardo et l'Artodano" d'inverno. Il curatore Haas (nota a p. 33) precisa che Artodono, o più precisamente Artoduno, deriva dal celtico arto = orso e duno = Burg (nel senso di fortezza, collina fortificata, a quanto trovo su Internet). Secondo Haas, in Artoduno sarebbe da vedere il nome preromano di quello che sarà poi Hospitale = Hospental. Nome "che nella regione linguistica italiana si è mantenuto anche come designazione del Passo del San Gottardo" dai tempi in cui esso non si chiamava ancora così. "In 'passare il monte di San Gottardo et l'Artodono' werden somit  der neue und der alte Name des Passes erwähnt, zum besseren Verständnis des Lesers", conclude Haas citando informazioni ricevute dal professor J. U. Hubschmied, un rinomato specialista di toponomastica, la cui opera è tuttavia oggi sottoposta a revisione critica "per la sopravvalutazione dell'apporto celtico nei nomi di luogo" (DSS). Nell'Urner Namenbuch di A. Hug e V. Weibel, I vol., 1988, trovo solo un toponimo defunto Artoden, nella regione di Unterschächen, forse una svista, in un documento del 1290, per Artboden = terreno piano, arato o edificato, definizione che andrebbe peraltro bene per la bassa valle d'Orsera. L'attuale senso spregiativo-scherzoso di artodan potrebbe semplicemente venire dal vago permanere di un termine un po' strano di cui non si sapeva più il significato oppure riferirsi consapevolmente agli abitanti della Valle d'Orsera, con i quali c'è sicuramente stato qualche screzio in passato. - (artodan)

Asbàc - Abbastanza (non solo lev.: secondo il prof Mario Forni lo usava anche il Porta in milanese). In italiano era un tempo usata la locuzione "a sbacco" = in grande abbondanza, a sazietà (v. Grande Dizionario della Lingua Italiana di Salvatore Battaglia). "In gran copia, a bizzeffe", si trova per "a sbacco" nel grande dizionario di Niccolò Tommaseo (v. sotto). - (asbac, asbacc, asbach, asbacch)

 

Ascro, ascru  - Solletico. Fig. paura, timore, apprensione.

Assa - Asso, nei giochi delle carte. Femminile, dunque: un'assa, do ass, non düi ass per dire due assi.

Assì - Sedimentare, posarsi sul fondo di un recipiente delle particelle sospese in un liquido. "La quagèda la assìs" = la cagliata si deposita sul fondo (VSI, Altanca). "Lassè assì" = lasciar depositare la crènc'a (v.) sul fondo della caldaia (Jelmini cit.). Café assid (pron. assìt) = caffè posato (VSI, Dalpe). Dal latino assidere = sedersi.

Atèni  (pl.) - Litanie - (ateni)

Au, ava - Nonno, nonna. Ad Airolo: èf e èva). Non vogliono l'articolo determinativo se soli: i vèi da au, i stèi da ava = vado dal nonno, sto dalla nonna, ma l'au det la mé ava = i nonno di mia nonna. - (au, ef, eva)

Àudan  (m. inv., n finale non nasale) - Ontano. In Leventina è presente soprattutto l'ontano bianco = Alnus incana (it.wikipedia - foto Google - diffusione in CH). Raro l'ontano nero = Alnus glutinosa (it.wikipedia - foto Google - diffusione CH). C'è anche àuna (f.,  plur. àuni) che non ho mai sentito ma è riportato dal VSI ed è all'origine di toponimi come Aunét (Prato, v. VSI) e Aunìt tra il ponte di Dalpe e Valascia. - (audan, auna, Aunet, Aunett, Aunit, Aunitt)

Auro, àuru -
Eccessivamente sensibile al dolore fisico: "ti sé bé auro!" VSI dà "auru" solo come sost. = infiammazione -> Inaurè = infiammarsi - (auro, auru)

Autè - Altare. Plur. autéi. "Par l'autè ch' l'ha da servì..." = "Per l'altare cui deve servire...": si dice ironicamente di oggetto, abito ecc., modesto ma giudicato sufficientemente consono allo scopo o alla persona cui deve servire.

                                                             Autè, chiesa di San Nicolao, Giornico - foto Tabasio
 

Autro, autru - Altro (pron. e agg.).  Lo inserisco per segnalare un modo di dire che mi ha causato una volta problemi di comprensione linguistica con una collega ticinese, peraltro di padre leventinese. L'autro/a, chél autro/a (l'altro/a, quell'altro/a) è a volte utilizzato nel discorso per indicare una persona nota agli interlocutori, ma non in senso necessariamente spregiativo. Anzi, spesso in senso bonario e affettuoso. Parlerei di "finto burbero": la forma è apparentemente  spregiativa ma l'intento è proprio il contrario. La mia collega non lo aveva capito e si era dunque molto offesa. Se mia mamma mi chiede di mia figlia "l'autra l'ha pö truó 'm lavor?" o io a mia mamma "l'autro u sta begn?" intendendo mio fratello, quell'autra/o non è certo spregiativo! Lo stesso discorso si può fare per chél/a (quello/a) e simili: la formulazione sembra lasciar sottintendere un sentimento di ostilità verso la persona indicata. In realtà può essere vero il contrario. Attenzione dunque alle sfumature!

Auzzè - 1) Alzare 2) Osare: "I auzzavi mia dumandè" = "non osavo chiedere".

Ava - Nonna. V. Au

Avemarìa - 1) Grano della corona del rosario. 2)  Patata talmente piccola da sembrare un grano della corona del rosario (mia mamma riferisce che lo diceva mia nonna). LSI dà: persona, cosa, frutto di piccole dimensioni (Calpiogna, Auressio, Brissago). - (avemaria)

Avìgia , plur. avìç - Ape, Apis (it.wikipedia), in part. Apis mellifera (it.wikipedia ). Termine non solo leventinese. A Dalpe végia secondo il LSI. Avigéi, avigéira =  apiario (luogo in cui si trovano gli alveari; anche, insieme di più alveari ). Il LSI dà come leventinese solo il primo, ma il secondo sembra essere all'origine del nome Vigera, frazione di Osco (v. Vigéira). - (avigia, avicc, avigeira)

Avost, aost - Agosto.  


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